venerdì 25 aprile 2014

Lambrusco & pop corn / e via sopravvivere / andata e ritorno classe tre / ma almeno è possibile

Al mattino la Mami che mi ospita mi fa trovare del caffè nero. Nero come piace a me. Lungo come non mi piace assolutamente. Ma come dire, ci si adatta.
 
Ci si adatta a quasi tutto, nella vita (e non parlo dell'abituarsi al dolore, od alle tragedie, sia chiaro). Mia cugina una volta mi scrisse, di fronte ad una mia email disperata in cui raccontavo di aver lasciato un lavoro che mi piaceva per prendere un treno che passava (scena di me che mi trovo su di una panchina in piazza Vittorio a piangere come una pazza) che anche quelli che abitano vicino agli aeroporti dopo un po' non fanno più caso agli aerei che passano.
 
La cucina è piccola, con la tavola al centro. Al mattino faccio colazione con la schiena rivolta al sole, mentre i cani Toffee, Tifì, ed il terzo di cui non posso assolutamente ricordare il nome, mi guardano con il muso speranzoso. Mi hanno dato un frigidaire (leggi frigo) in modo che io possa avere le mie cose da parte. Non so se hanno paura che, usando il frigo comune, possa sottrarre del cibo di altri.
 
Qui mangiano riso (come in Kenya), mettono l'aglio dappertutto, ed usano salsine come se non ci fosse un domani. E nelle salsine mettono appunto l'aglio, oppure la sorella scema, la cipolla.
Fondamentalmente si riempiono di carboidrati, anche perché essendo forti le influenze cinesi, indiane, la cucina creola è un mix tra tutte queste culture. Ecco perché i Mauriziani non hanno una dieta come dire, piuttosto salutare. Mangiano al contrario molto male, relativamente fritto, e relativamente grasso. Via di torte e coca- cola, e bevande gassate e dolciastre.
 
Sono ghiotti di lenticchie, ma qui i legumi costano molto. Mangiano pesce e carne, soprattutto carne di porco, sempre di bassa qualità. Hanno la mozzarella, che chiamano così ma che di così non ha assolutamente nulla, ma detestano i formaggi che puzzano, quelli francesi, come i loro vini, troppo forti per i loro palati non abituati ai gusti puri, meglio quello sudafricano.
 
Essendo l'unica bianca nella cittadina in cui abito, quando passo con i sacchetti della spesa sono osservata peggio di un pesce in mezzo a mille gatti. I ragazzi mi dicono "Buongiorno bella" anche quando è sera, le donne mi toccano i capelli. Tutti mi salutano. Sono molto educati. Dopo una settimana non si stupiscono più di vedermi alla fermata del bus, mi fanno anche le cartine per non perdermi, anche se ormai sto diventando pratica, e poi spostarsi con i mezzi è veramente conveniente. Per andare in città circa 24 rupie (50 centesimi). Arrivi alla Gare du Nord e sei praticamente in centro.
cartina scritta da un vecchino e biglietti del bus. Non si vede una mazza, lo so.
 
Tobia dice che se i post sono troppo lunghi, nessuno li legge. Ecco perché qui sotto c'è la seconda parte della mia gita a Port Louis.   

Dopo gli olandesi, Moris e' stata dominata da francesi, che l'hanno ribattezzata imperiosamente Ile de France, per poi cederla agli inglesi, che l'hanno restituita a sé stessa nel 1968.
E fu così che lo sputo dell'Oceano Indiano divenne indipendente. Cinesi ed Indiani accorrono, arrivano quasi nuotando, attirati da una richiesta di manodopera sempre crescente. Passo dopo passo, diventano sfaccettature del piccolo smeraldo oceanico, creando una vera e propria Chinatown  nel centro città. Negozi, biciclette, odore di fritto. Questa e' la Cina di Moris, bellezza.
Contraddistinta da un cielo di lanterne rosse, delimitata da maestose porte. Come una bussola che ti fa capire sempre dove sei.-

lanterne rosse, ingresso Chinatown


ingresso Chinatown


Un centinaio di metri prima, la moschea di Jummah, in cui puoi entrare con la gonna corta, (non parlo del Sandra Sanctorum) ovviamente, dai colonnati interni ed il portone in tek. Due vie dopo Chinatown parte una strada che porta invece ai piani alti.

Gomito contro gomito a quella nuvola che mangia la punta della montagna.

Nel 1834, gli inglesi, incazzati perché la loro presuntuosa lingua viene soppiantata dall'eterna rivale francese come lingua parlata nell'isola (ricostruzione personale, sicuramente non storica) sfidano gli altri a chi sale prima più in alto, costruendo il Fort Adelaide, onorando la memoria della moglie di William V, la regina Adelaide, appunto. I motivi di tale costruzione restano avvolti nell'ignoto, forse per motivi strategici, leggi la chiara visuale fino al porto, onde evitare incursioni nemiche, o forse solo per vantarsi di aver pisciato più lungo (o più in alto, dipende dai punti di vista).
Risultato: due curve con la macchina, o 180 gradini in mezzo al verde (calcolati uno per uno tra un rantolo e l'altro) per poter assaggiare un pezzo di cielo. Cannoni a parte, l'interno vuoto ospita un negozietto di souvenir. Altri scalini, e si arriva su di un piccolo spiazzo che offre The View, una panoramica sulla capitale. Sicuramente ci sono molte views molto più celebri ed appetibili, ma come ho scritto prima, ci si adatta.  
selfie da lontano, ma preso bene

vista della città, fino al mare
 
 
Proprio lì, dove lo sguardo si perde, e sta per cominciare lo specchio d'acqua, la vita pullula il Grand Marchè de Port Louis: si aprono i cancelli,e  dapprima una sequenza di stanzoni con cartelli che indicano cosa si vende
ad ogni cosa, uno spazio
 
Poi cancello dopo cancello, verso la fine della giornata, l'ordine si fa disordine, le voci si fanno casino, i netti diventano chiazze: non si riconosce più quello che è buttato sui banconi, si pesta quasi di tutto, si sente praticamente di tutto, si vedono solo teste e mani che si scambiano sacchetti e monete.

piano terra, foto presa al mattino, c'è ancora ordine

Oltre a frutta e verdura, tanti i souvenir proposti, bastoncini neri di vaniglia, magliette iconiche del Dodo, borse e bracciali in plastica. Tanto tessuto, cotone, il cashmere, che non avrei mai detto, ma che sembra essere famoso e richiesto. Se compri qualcosa, come nel mio caso (dovunque vada, faccio crescere il PIL del Paese), non ti aspettare che ti facciano il pacchetto. Buttano il tutto in un sacchetto in plastica nero, e via. 
 
Come scritto, ci si deve adattare.
 
Ci si adatta a tutto, nella vita.  Ci si abitua a (quasi) tutto. I viaggiatori lo sanno. E' per questo che, dovunque vadano, non importa come. Semplicemente, vivono.
 
E.
 
 

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