martedì 25 marzo 2014

un bellissimo spreco di tempo

La mia parabola in K. è giunta al capolinea. Io vado, il resto sta.

I miei ciuffi di capelli bianchi ci sono, la mia pelle si è scurita, le occhiaie immancabili.

Nuovi gli orizzonti che ho visto, l’Oceano Indiano che mi ha tenuto compagnia ogni mattina, con le sue vele spiegate, e la spuma di cartapesta che lascia il posto alla lingua di sabbia.

Io vado, il resto sta.

La valigia quasi pronta, innumerevoli le cose che ho comprato, e che mi sono comprata. Forse 4 -5 borse, che andranno a rimpolpare la mia nutrita collezione.

Come in tutti i viaggi, quello che ingombra non è quello che si schiaccia in stiva, in rocambolesche compressioni per sperare di ingannare la bilancia.  Quello che resta è nella testa, (e per fortuna non si può etichettare e vederla comparire sul nastro, tutta incellophanata).

Si spera di averla sempre sul collo. Anche se questo K. la fa perdere, la testa.

In tutti i sensi. Ma io saluterò e me ne andrò con la mia, di testa.

E non so se tornerò. Il mondo è grande ed io, anche se sono solo un puntino, voglio mangiare tutta l’aria che riesco. 

Quello che ho imparato, perché una delle poche certezze della mia vita è che sempre si impara, è che non 
tutte le volte riesci ad andare oltre. Anche se dai delle capocciate che levati.

E soprattutto non si può cambiare il mondo. Anche se tutti gli orfani che vedi, li vorresti portare tutti con te. I randagi, vorresti nutrirli. Quelli che chiedono l’elemosina e ti guardano con occhi vuoti, vorresti ricoprirli di monete.

Il sole, lo vorresti rubare, per far scaldare Torino.

Nulla di grosso posso fare, perché sono solo un puntino. Ma non per questo mi arrendo.

Posso cercare di cambiare le cose nel mio piccolo, io stessa in prima persona. con i miei amici, con la mia famiglia, in Italia. Non essere mai stanca di migliorare, imparare vedere. Cercare i trecentossessantagradi d’Africa un po’ dovunque.

Rispettare le cose e le persone che respiro tutto il giorno. Che non vuol dire guardare solo il proprio orticello, ma fare in modo che l’orticello sia il più verde possibile.

Insomma, cercare di dare la Versione Migliore di me stessa sempre, quello si, lo posso fare.

Questa è la lezione più grossa che ho imparato in questi mesi, K.  

          
We’ve had a long run in the night, Kenya. Keep on runnin', I'll do the same.*



*Abbiamo fatto una lunga corsa nella notte, Kenya. Continua a correre, io farò lo stesso."

Ho voluto chiudere con la stessa frase con cui ho aperto questi miei post dall'Africa Orientale, ovvero lo slogan del 50nario dell'Indipendenza del Paese dall' Inghilterra. Io aggiungo che tanta strada è ancora da fare, sia per il K., che per me.

Ciao K, in bocca al lupo.

E.

lunedì 17 marzo 2014

Bang Bang (My baby shot me down)

Sottotitolo: di come riuscimmo a comprare i materassi, ed il mais, nonostante le afose condizioni meteorologiche


Premetto che il post è stato scritto con l’intento di raccontare, e non è stato riletto. Le parole sono uscite di getto. Non saranno righe da premio Pulitzer, ma questa è la vita. Calda, afosa, noiosa, piena di merda (per molti, non per tutti). Ma è così.

Alle due e mezza di una infernale domenica in questo K., dopo aver raccattato quello che potevamo, tra euro e scellini, programmiamo la toccata e fuga nei vicoli di Malindi per cercare i materassi. Il minivan concordato da 9 posti (abbastanza grande per starci noi con i materassi appunto) ovviamente non arriva, al suo posto una semplice macchina da cinque posti. Chi ben comincia è a metà dell’opera. Dappertutto tranne che in questo posto.

Optiamo allora per il matatu, pulmino di linea dalle molte fermate e dagli innumerevoli posti, si passa da una capienza di dodici/ tredici ad un effettivo riempimento di circa venti, bambini compresi e schiacciati. Qui non si guarda in faccia (a) nessuno.

Per arrivare alla fermata del matatu, dobbiamo prendere due bajaji, 50 scellini per trecento metri. E per rendere le cose ancora più facili, ognuno porta con sé un sacco della spazzatura con asciugamani puliti, da mettere fra il materasso ed i bambini. Contando che non hanno federe, non hanno lenzuola, e non si lavano, ne abbiamo portati circa 40.

Arriviamo alla fermata, carichiamo i due sacchi di asciugamani, ci saranno 40 gradi. Ci sediamo in fondo, non si respira, io scalpito perché voglio partire, ma dobbiamo aspettare che il matatu si riempia, più persone ci sono, più si guadagna, non importa che si mischino i sudori, è un posto che va bene se non ti schifi, perché ti farai venti minuti di strada con il gomito nel costato di quello vicino a te. 80 scellini (meno di 1 euro) per venti chilometri circa.

interno matatu
Fermate infinite, sali scendi, gente scocciata, io che metto fuori la testa dal finestrino e le mie gambe si attaccano alla plastica trasparente dei sedili leopardati.

selfie con Maurizio
Il Pastor ci aspetta a Kiwetanga, gli busso dal vetro perché non ci riconosce, dobbiamo andare insieme a scegliere le cose perché per noi Mzungu i prezzi raddoppiano. Entra, ha pantaloni neri, camicia bianca, una giacca argento gessata bianca. Sembra che arrivi direttamente dalla notte degli Oscar. Sale, ovviamente paghiamo anche per lui, arriviamo a Malindi.

Scendiamo e saliamo su di un tuc tuc. Li abbiamo provati tutti, nello spazio tra Watamu e Malindi. Ci immergiamo nei vicoli, è il caso dirlo, l’acquazzone di sabato in tarda mattinata ha creato grosse e sporche pozze qui e là. Anche se la vita, mesta ed indolente, va avanti.

Giriamo un po’ di negozi, non hanno il senso del business, pur di non farci neanche un po’ di sconto, perché compreremmo tanti materassi, e soprattutto li compriamo per dei bambini, che non ce l’hanno, o che sono devono dormire ammassati per dividere quello che hanno. Nulla da fare, qui come detto, nessuno guarda in faccia nessuno, perché la carità lui sì ed io no? Litigano per una caramella, anche gli adulti. Caino contro Caino. Tutti contro tutti.

Dopo aver girato 4-5 negozi, dagli svogliati proprietari troppo accaldati per prenderci seriamente, due bianchi con la calcolatrice, ed un kenyota vestito ridicolo per la sporcizia che c’è in giro, decidiamo che alla fine il primo è quello che ci è sembrato avesse un prezzo migliore (qualità/ prezzo), per cui torniamo indietro: addirittura un bianco con la moglie in giro per il mercatino ci vede e ci fotografa, come se fossimo così inusuali, in quel posto lì. Alla fine, è lo stesso sguardo che rivolgono molte donne bianche alle altre donne bianche che hanno adottato bimbi kenyoti.

Tiriamo perciò il prezzo, trattando tra le due bancarelle vicine. Vogliamo 15 materassi, di media misura, ci sono quelli grassi come i nostri, ma costano veramente una fucilata, ed i bambini sono tanti. E tutti devono dormire. Mentre contrattiamo, il Pastor dice che ha bisogno anche del mais per fare la polenta. Un sacco di mais 3300 scellini (30 euro mal contati). Qui è sempre così,e nonostante sia un servo di Dio, anche lui non scampa a questa legge: più ti mostri disponibile, più chiedono. Brontolii, rifacciamo i conti, dobbiamo togliere un paio di materassi, scendere con il prezzo. Spuntiamo 100 scellini per materasso, per cui dovremmo riuscire a comprarne 13. Il proprietario va a controllare se ne ha a sufficienza, sarebbe veramente uno smacco ora, ma non accetta gli euro, per cui riprendiamo il tuc tuc ed andiamo in città a cambiare i soldi. Il Pastor fa i capricci, dice che non ha pranzato, vuole la coca cola. Pesta i piedi. Io vorrei prenderlo per il colletto. Sarà il caldo, ma mi dà i nervi, quando fa così.

Ritooti.rniamo al negozio, ma non c’è nessun materasso, il proprietario si è risieduto con lo stuzzicadente in bocca. E sale il nervoso. Mi incazzo e mi faccio portare verso lo “store” dove dicono di avere il resto dei materassi. Li conto uno per uno a voce alta, mentre li carichiamo sopra il tuc tuc. Ed io penso che non ce la faranno mai. Invece, bianca malfidente che non sono altro, gli africani hanno più inventiva che anima.

conta dei materassi

caricamento tuc tuc

Prima di pagare, chiediamo di nuovo un materasso in regalo. Il boss mi dice che lui per materasso ci guadagna solo 50 scellini. Ovviamente non gli credo.

missione compiuta

Carichi e sudati come asini, infastiditi dalle mosche, andiamo a comprare il mais. Non resisto, c’è una bilancia alimentare, mi accovaccio e mi peso 59.70 (vestita per di più). Tutto quel sangue sputato per la strada di Watamu è servito, forse. Il Pastor fa i capricci, dice che vuole l’olio. Noi ci guardiamo avviliti, non abbiamo più soldi, purtroppo sarà per la prossima volta. Avevamo raccolto circa 250 euro, non resta più nulla.

Carichiamo i due sacchi di mais, spostando i sacconi con i 40 asciugamani. Inizia il viaggio di rientro verso l’orfanotrofio, sembra che il tuc tuc non si possa muovere, il Pastor vicino a me sembra non sudi, io credo di sciogliermi come neve al sole. Sulla strada asfaltata sembra che si decolli, poi sterziamo bruscamente e finalmente arriviamo. I bimbi ci corrono incontro, si attaccano a tuc tuc, ridono urlano.
Rinculiamo sotto l’albero, ed i più grandi ci aiutano a scaricare. Faccio il video, che però mi si pianta quando sto per entrare nelle camere, per fare vedere che hanno messo i materassi. Anche le ragazzine in effetti mi si parano davanti. Non vogliono che si vìoli il loro spazio. Hanno ragione.

si scarica

Spostiamo asciugamani e mais in un’altra ala del comprensorio, dove tengono anche le galline, circa un centinaio, ammassate in uno stanzone comunque troppo stretto. Le bambine nella stanza attigua spazzano e ridono. Sto per uscire, e mi accorgo che un po’ di chicchi di mais sono caduti per terra nel trasporto, e le bimbe li stanno raccogliendo con religioso silenzio. Nulla si spreca, tutto serve.

Purtroppo non abbiamo tempo per stare con i bambini, dobbiamo tornare indietro. Riprendiamo il tuc tuc per farci lasciare sulla strada principale, gli diamo 700 scellini (circa 7 euro), ed aspettiamo il matatu, facendo il segno con il pollice. Saliamo, non c’è posto per tutti, e Maurizio deve stare fuori, tenendosi con le mani al bordo del pullmino. Mi sono accorta di avere le caramelle nella borsa, ma di non averle distribuite perché non ne avevo per tutti, così lo faccio sul matatu, anche l’autista è contento.

Dopo venti minuti, di cui quindici passati a spostarsi per fare scendere le persone vicine a me, arriviamo al capolinea, e riprendiamo il bajaji, ci stringiamo e saliamo in due. Ultimi metri.

Siamo sudati, polverosi, impolverati e senza soldi.

Puzziamo anche di pesce, perché la bancarella dei materassi era di fronte a ceste e ceste e ceste di pescetti essiccati e maleodoranti, che hanno tentato di venderci in tutti i modi.

Maurizio mi dice “Grazie per avermi accompagnato”, io sorrido, e guardo il sole che si addormenta pigramente sul Mida Creek.


tramonto sul Mida Creek
Il Pastor, quando ce ne siamo andati, ci ha detto “che Dio vi benedica”. Io non lo so come finirà, ma quando fai del bene, è sempre una buona giornata.

E.

lunedì 10 marzo 2014

ti farò male come un colpo di pistola / questo è quello che ti meriti

Il K. è come una prostituta. Ti sbatte in faccia la sua parte migliore. Il suo posteriore, il suo mare, le sue palme da cocco. Anche se a dirla tutta è una prostituta da quattro soldi, perché ti accoglie con un top sfavillante certo, tutta truccata e agghindata, ma in mezzo alle sterpaglie, con l’odore del falò che è stato acceso per avere un po’ di luce che penetra nelle narici, ed impuzzolisce i vestiti.

Ma questo la maggior parte della gente,  diciamo gli stranieri, diciamo un 80% di italiani, non lo vede. Costruisce le case in mezzo alla miseria. Sotto il sole, e girano i pannelli solari che progetto, e si spezzano le schiene di quelli che sotto il sole lavorano.

Un Paese, questo K., in cui tutti vogliono tornare ed a distanza ravvicinata lo fanno veramente, una- due- tre- sei volte in un anno. A ripetere gli stessi gesti, a sporcarsi le mani con la stessa sabbia, a comprare gli stessi batik. A ripetere che questo è il posto più bello del mondo.

Alba sull'Oceano Indiano

Vero, se si pensa che questa costa in particolare, quella di Watamu, è stata definita fra le 9 più belle spiagge dell’Africa.

Vero, se si pensa che quando il sole splende, e la marea è bassa, l’acqua è azzurra, e sembra un angolo di Paradiso in terra.

Vero, se si pensa al sole che si spacca fra le palme, e si scioglie come burro.

Vero, se lo vedi con gli occhi di qui viene, ruba un po’ di sole, e va.

Falso, se lo vedi come uno che qui ci è nato, vede il sole che gli viene rubato, e resta.

Questo è il posto più piccolo e polveroso del mondo, se lo vedi con gli occhi di uno dei 70 bambini che vivono alla Faith Community Children Home, orfanotrofio a circa 20 minuti di distanza da Watamu, e poche curve prima di Malindi.

Si entra da una via secondaria, assolutamente uguale a tutte le alte, che si riconosce perché c’è un grosso campo da calcio.

Curve, sterrato e si balla per qualche secondo. Si passano catapecchie, catapecchie, panni al sole, e catapecchie. Mi aspettavo un casermone nel mezzo del casino della città.

Invece ho trovato un grosso appezzamento di terreno con edifici scarni e sparsi qui e là.

Mentre aspettavamo che arrivasse il Pastor, che si occupa di queste povere anime, mi sono avvicinata ad un gruppetto di bambini minuscoli che mi guardavano da dietro la chiesa.

chiesa sulla sinistra

Mi sono avvicinata, ho detto “Jambo, my name is Elena”, ma nessuno mi ha risposto. Tutti mi avevano capito, ma mi hanno guardata con le bocche chiuse, muti. Il bambino alla mia destra mi guardava, e giocava con una piccola ruota in plastica ed un frutto giallo, che sono finiti a turno nella sua bocca e poi per terra, mentre le sue dita cicciotte tracciavano linee sottili sulla terra. Ho preso a pretesto queste linee, fingendo che fossero belle, perché ho sentito che mi veniva da piangere, mi conosco, mi prude il naso, e non tengo aperti gli occhi. Piangevo perché non vedevo assolutamente nulla per loro. Per il loro futuro. Come essere assuefatti ad uno sparo nell'aria, e manco avere la forza per girarsi. Ma mai piangere di fronte ai bambini, che questo proprio non lo capiscono, me lo avevano detto. Ho tirato sul con il naso, in silenzio, ed ho alzato la testa. Ho sorriso, e questa volta il bambino mi ha messo in mano la piccola ruota sbavata ed è corso via, seguito da tutti gli altri.

esterno dell'orfanotrofio

I bagni, che sarebbe meglio definire quasi latrine, la grossa chiesa al centro con solo l’altare e due vasi sottili ai lati con colorati fiori di plastica. Ovviamente inutile dire che non c’è pavimento, solo nuda terra.

bagni
Le camere da letto, che non ho voluto fotografare assolutamente perché mi sono vergognata, terra a parte, chissenefrega, ma i bambini dormono su materassi che sono stati girati troppe volte, direttamente sulla terra appunto o su mucchi di assi in legno sparsi (e non so cosa sia meglio). Che poi, diciamo, camere da letto, quattro pareti e due materassi sporchi e polverosi.

In mezzo, gli alberi, ed un campo da calcio, le cui porte sono costituite da due pali di legno.
pile che si caricano al sole

I bambini vanno dai 2-3 anni fino a 15-16. Alcuni sono orfani di entrambi i genitori, alcuni li hanno ma non possono essere mantenuti, altri ancora vivono con le famiglie all’interno di questa comunità.

Vanno a scuola a piedi, vivono della carità di altri, e dagli altri dipendono per tutto, dalle tasse della scuola, all’ugali (polenta) che mangiano ad ogni pasto. Vestono vestiti laceri di altri, che sono ormai a brandelli.
Abbiamo portato dei soldi, compreremo loro dei materassi, d'accordo con il Pastor. E non lo dico tanto per dire, lo dico perchè qui ogni dito può smuovere una montagna.

I ragazzi grandi hanno improvvisato una partita di calcio, corrono, sudano, si divertono.

partita di calcio

Io ero con i piccoli, abbiamo tifato, cantato i cori, fatto le foto.

Come tutti i bambini, diventano piccole star, se messe di fronte all’obiettivo.


foto di gruppo, e questa la lascio grossa


E non sono mancate le canzoni locali, con tanto di coreografie accennate.

video cantato

Le bambine erano attirate dai miei tanti ed ormai lunghi capelli schiariti dal sole, mi hanno fatta sedere sulla sedia, e mi hanno fatto un’acconciatura da loro definita “fashion”. Tante le smorfie fatte, mentre loro ridevano, mi tiravano i capelli annodati, lisciandoli e toccandoli con le mani impolverate.

Mentre ero seduta a farmi pettinare, hanno voluto rivedere il video che avevamo fatto poco prima. Lo abbiamo visto circa 7 volte. Continuavano a schiacciare “play” sul telefonino, spingendosi l’un l’altro per vedersi, riconoscersi, toccare lo schermo.

Un groviglio di teste che si toccavano, sudore, mani sporche di polvere, nasi pieni di mango e muco, che ho tentato invano di pulire, dita che si muovevano frenetiche, maglie che si slabbravano, futuro che si è fermato in un eterno presente.

Presente che è un costante chiedere soldi, perché non bastano mai, come la fila di mani che ho cercato invano di ordinare per dare loro le caramelle (una mi raccomando, perchè poi i denti non si possono curare), un ammasso di occhi che ti guardano e ti scrutano, e ti chiedono, sono bambini, mangiano ma non crescono, solo i carboidrati non bastano, come l’acqua, perché secondo te si laveranno dopo la partita di calcio, no, resteranno seduti sulla sedia ad aspettare che il sole secchi i loro umori, mentre ascoltano la musica da uno stereo scassato, e scimmiottano i rapper americani che chissà come conoscono, o forse è solo un caso. Vorresti stritolarli in un abbraccio, e portarteli via, e non ti voltare mentre te ne vai, meglio coprirti gli occhi con gli occhiali da sole, e non vedere che ti si aggrappano al finestrino della macchina, corrono a perdifiato fino a spellarsi i piedi, meglio che non vedano che ora lo sparo lo stai sentendo, e ti vuoi fermare per pigiarli in macchina, e portarli tutti via, tutti quanti, tutti insieme.

Siamo tutti di passaggio, su questa terra, di questo sono convinta.

C’è chi il passaggio lo ha più facile, c’è chi nasce già con la sfortuna addosso prima ancora di uscire dalla pancia.


Perché se per caso inciampi in tutto questo, in questo mondo che tanto è e sarà sempre di serie B, allora questo K. ti fa proprio schifo.