Dicono che fra tutte le donne
africane, le più belle siano le somale, e le etiopi. Basta guardare la moglie
di David Bowie, Iman. Vero che è una modella. Ma vero anche che rappresenta un
tipo, comune per tratti a molte donne che abitano questa parte dell’Equatore.
Il Kenya confina con l’Uganda ad
ovest, a nord ovest con il Sudan, a sud con la Tanzania. Il nord e l’ est
invece entrano nei confini della bellezza, rispettivamente Etiopia e Somalia,
la bellezza delle cose non fragili, tanto per citare e storpiare un magnetico libro
di Taye Selasi che ho appena finito di leggere.
Cose non fragili, come le donne keniote.
Prese tutte insieme, mi ricordano
le prostitute che litigano sul treno con i controllori, e si rincorrono con gli
zatteroni, Charlies Angel’s di qui dall’Equatore, piene di sacchetti, colorate,
rumorose, ingombranti, appariscenti. Sono appariscenti come delle paillettes,
sfacciate e fasciate in vestiti fluorescenti che fasciano il loro culone, sodo
e alto, e chissenefrega se si vedono i buchi. La pelle risalta, il vestito
anche, gli uomini strabuzzano gli occhi, le altre donne pensano che queste
donne, quelle di qui dall’Equatore, siano delle donnacce.
Anche le donnacce però sognano.
Sogni che stanno in una mano, anzi ci stanno pure larghi, vogliono fare le
parrucchiere, le rappresentanti, le maestre. Sogni che misurano un metro
quadrato, quanto i passi uno in fila all’altro per misurare la grandezza di un
atollo. Sogni piccoli sì, limitati no, irrealizzabili, neanche per idea.
Sfasciano famiglie, piuttosto.
“Da domani voglio lavorare”- “No,
posso provvedere io al tuo mantenimento, non ti preoccupare”- “No, io voglio
lavorare, vendere cosmetici porta a porta”- “Quello è un mestiere da donnacce”-
“Allora sai che c’è, torna da tua madre con i bambini, io vado a fare la
donnaccia”. Fine di un amore.
Per quello vero c’è tempo, oggi
tu, domani un altro.
Ma la parrucca no, quella resta,
quella non si tradisce. Parrucche fatte con le fibre di agave, di cui è
ricoperta la strada che porta a Mombasa, ai piedi delle colline di Vipingo. Ieri
avevo i capelli corti e lanuginosi, sembra che sulla mia testa sia stata rovesciata
una scatola di bocconcini di cibo per cane. Domani se avrò pazienza mi
cresceranno, li stirerò così tanto che sembrerà di aver in testa scope di
saggina. Ciuffi dritti, impalati, come foglie di ananas. E domani ancora invece
saranno lunghi, con extension di treccine colorate bionde e ramate. Donnacce
no, trasformiste anche nella vita di tutti i giorni, you bet.
Sono audaci come cavallette
quando ballano, il loro corpo da materia diventa soffio, cacciavite nella testa
per le musungu (= bianche), spettacolo
per gli occhi che su loro si posano. Donnacce no, quando balliamo, sì decisamente.
Le più piccole, non ancora
donnacce, ma in cerca del proprio spazio, impacchettate come sono in stoffe in taglie
larghe, sfoggiano vestiti di chissà quale mano, che da noi si vedono solo in
certi film americani il giorno del ballo. Stoffe cangianti, fiocchi e gale,
trini, merletti, tutte agghindate per stare in strada, tra il fango e la
polvere, ad osservare la vita che passa, come confezioni regalo su cui non puoi
attaccare il bollino di chi te l’ha venduto.
spiaggia di Sunpalm, e fiocchi |
Tutte hanno gli occhi scuri, come
quando piove a Nairobi.
Tutte hanno gli occhi
liquidi, come il fiume Galana, che vanno
ben oltre i dieci passi del mio atollo, del mio mondo, dell’ippopotamo che di
notte si abbevera.
Tutte si muovono. Fanno
chilometri per portare l’acqua dal villaggio al pozzo tenendo i boccioni sulla
testa, insegnano alle figlie a fare altrettanto, avvolte in tele di stoffa
grezza colorata, con motivi floreali, ed una scritta che rappresenta un monito,
un insegnamento. Quello stesso telo lo indossa l’uomo dopo la prima notte di nozze,
legato alla vita, e lo mostra a tutti mentre si lava i denti, fuori sulla
porta, sputando per terra, con la testa bassa ma l’occhio alto per vedere se
qualcuno lo vede.
donne al mercato |
Si buttano in acqua agghindate
come madonne, fanno rumore anche quando tacciono, e guardano l’Oceano di fronte
Sunpalm, dopo le cinque.
Sunpalm dopo le cinque |
Indossano i loro denti, che forse
sono anche di meno in bocca viste le loro dimensioni, e spalancano le persiane.
donne giriama |
Ridono e sorridono, con i loro parei tenuti fermi dal fermaglio in legno, annodati
dietro, e tutte le musungu che
chiedono loro come si fa per poi replicarlo a Rimini, in Sardegna, e ridere e
dire che lo hanno imparato da loro, nell’Africa nera, una piccola toccata e
fuga al caldo. Perché io vado e vengo, una settimana, un mese, forse più, ma le
donnacce keniote no, loro restano attaccate a questo Kenya come delle cozze allo
scoglio.
E.
Grazie Elena, perché sono qui sul mio divano e fuori ci saranno 5 gradi ma, durante la lettura, sono stata catapultata in Kenya. Buon anno e un bacio!
RispondiEliminaGiada
Ciao Giada, non fare la poltrona, join me!
RispondiEliminati abbraccio, Elena
La mia cara Baudy, laggiu'! E' sempre bello leggerti e vedere attraverso i tuoi racconti quello che succede li'..la'...insomma dove sei tu.
RispondiEliminaLOVE FOR YOU