domenica 5 gennaio 2014

vogliono ballare un pò di più/ vogliono sentir girar la testa


Dicono che fra tutte le donne africane, le più belle siano le somale, e le etiopi. Basta guardare la moglie di David Bowie, Iman. Vero che è una modella. Ma vero anche che rappresenta un tipo, comune per tratti a molte donne che abitano questa parte dell’Equatore.

Il Kenya confina con l’Uganda ad ovest, a nord ovest con il Sudan, a sud con la Tanzania. Il nord e l’ est invece entrano nei confini della bellezza, rispettivamente Etiopia e Somalia, la bellezza delle cose non fragili, tanto per citare e storpiare un magnetico libro di Taye Selasi che ho appena finito di leggere.  Cose non fragili, come le donne keniote.

Prese tutte insieme, mi ricordano le prostitute che litigano sul treno con i controllori, e si rincorrono con gli zatteroni, Charlies Angel’s di qui dall’Equatore, piene di sacchetti, colorate, rumorose, ingombranti, appariscenti. Sono appariscenti come delle paillettes, sfacciate e fasciate in vestiti fluorescenti che fasciano il loro culone, sodo e alto, e chissenefrega se si vedono i buchi. La pelle risalta, il vestito anche, gli uomini strabuzzano gli occhi, le altre donne pensano che queste donne, quelle di qui dall’Equatore, siano delle donnacce.

Anche le donnacce però sognano. Sogni che stanno in una mano, anzi ci stanno pure larghi, vogliono fare le parrucchiere, le rappresentanti, le maestre. Sogni che misurano un metro quadrato, quanto i passi uno in fila all’altro per misurare la grandezza di un atollo. Sogni piccoli sì, limitati no, irrealizzabili, neanche per idea. Sfasciano famiglie, piuttosto.

“Da domani voglio lavorare”- “No, posso provvedere io al tuo mantenimento, non ti preoccupare”- “No, io voglio lavorare, vendere cosmetici porta a porta”- “Quello è un mestiere da donnacce”- “Allora sai che c’è, torna da tua madre con i bambini, io vado a fare la donnaccia”. Fine di un amore.

Per quello vero c’è tempo, oggi tu, domani un altro.

Ma la parrucca no, quella resta, quella non si tradisce. Parrucche fatte con le fibre di agave, di cui è ricoperta la strada che porta a Mombasa, ai piedi delle colline di Vipingo. Ieri avevo i capelli corti e lanuginosi, sembra che sulla mia testa sia stata rovesciata una scatola di bocconcini di cibo per cane. Domani se avrò pazienza mi cresceranno, li stirerò così tanto che sembrerà di aver in testa scope di saggina. Ciuffi dritti, impalati, come foglie di ananas. E domani ancora invece saranno lunghi, con extension di treccine colorate bionde e ramate. Donnacce no, trasformiste anche nella vita di tutti i giorni, you bet.

Sono audaci come cavallette quando ballano, il loro corpo da materia diventa soffio, cacciavite nella testa per le musungu (= bianche), spettacolo per gli occhi che su loro si posano. Donnacce no, quando balliamo, sì decisamente.

Le più piccole, non ancora donnacce, ma in cerca del proprio spazio, impacchettate come sono in stoffe in taglie larghe, sfoggiano vestiti di chissà quale mano, che da noi si vedono solo in certi film americani il giorno del ballo. Stoffe cangianti, fiocchi e gale, trini, merletti, tutte agghindate per stare in strada, tra il fango e la polvere, ad osservare la vita che passa, come confezioni regalo su cui non puoi attaccare il bollino di chi te l’ha venduto.

spiaggia di Sunpalm, e fiocchi



Tutte hanno gli occhi scuri, come quando piove a Nairobi.

Tutte hanno gli occhi liquidi,  come il fiume Galana, che vanno ben oltre i dieci passi del mio atollo, del mio mondo, dell’ippopotamo che di notte si abbevera.

Tutte si muovono. Fanno chilometri per portare l’acqua dal villaggio al pozzo tenendo i boccioni sulla testa, insegnano alle figlie a fare altrettanto, avvolte in tele di stoffa grezza colorata, con motivi floreali, ed una scritta che rappresenta un monito, un insegnamento. Quello stesso telo lo indossa l’uomo dopo la prima notte di nozze, legato alla vita, e lo mostra a tutti mentre si lava i denti, fuori sulla porta, sputando per terra, con la testa bassa ma l’occhio alto per vedere se qualcuno lo vede.

donne al mercato


Si buttano in acqua agghindate come madonne, fanno rumore anche quando tacciono, e guardano l’Oceano di fronte Sunpalm, dopo le cinque.

Sunpalm dopo le cinque



Indossano i loro denti, che forse sono anche di meno in bocca viste le loro dimensioni, e spalancano le persiane. 

donne giriama


Ridono e sorridono, con i loro parei tenuti fermi dal fermaglio in legno, annodati dietro, e tutte le musungu che chiedono loro come si fa per poi replicarlo a Rimini, in Sardegna, e ridere e dire che lo hanno imparato da loro, nell’Africa nera, una piccola toccata e fuga al caldo. Perché io vado e vengo, una settimana, un mese, forse più, ma le donnacce keniote no, loro restano attaccate a questo Kenya come delle cozze allo scoglio.


E.

3 commenti:

  1. Grazie Elena, perché sono qui sul mio divano e fuori ci saranno 5 gradi ma, durante la lettura, sono stata catapultata in Kenya. Buon anno e un bacio!
    Giada

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  2. Ciao Giada, non fare la poltrona, join me!
    ti abbraccio, Elena

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  3. La mia cara Baudy, laggiu'! E' sempre bello leggerti e vedere attraverso i tuoi racconti quello che succede li'..la'...insomma dove sei tu.
    LOVE FOR YOU

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