domenica 22 dicembre 2013

Marakaribu (karibu significa "benvenuto" in swahili)



Jambo,

Jambo Bwana

Habari Gani
Mzuri Sana
Wageni Wakaribishwa
Kenya Yetu
Hakuna Matata
Kenya Nchi Nzuri
Hakuna Matata
Nch ya Maajabu
Hakuna Matata
Nchi Yenye amami
Hakuna Matata
Hakuna Matata
Hakuna Matata
Watu Wote...
Hakuna Matata
...Wakaribishwa
Hakuna Matata
Hakuna Matata


Ciao

Ciao Visitatore 

Come va?
Molto bene!
I stranieri sono benvenuti
nel nostro Kenya
Nessun problema
Il kenya è un bel paese
Non c’è problema
Un meraviglioso paese
Non c’è problema
Un paese pieno di pace
Non c’è problema
Non c’è problema
Non c’è problema
Tutti sono…
Non c’è problema
…Benvenuti
Non c’è problema
Non c’è problema







I kenioti al telefono non perdono tempo. 

Nonostante la loro vita, e di conseguenza anche la mia, visto che il destino mio e quello di questo popolo dal labbroni e culi sporgenti  si stia incrociando, sia scandita da un sottofondo di POLE POLE (piano piano). Dove poi tu vada, non si sa.
Al telefono non dicono manco “Ciao" vanno dritti al punto, e poi riattaccano. Se proprio sei fortunato, ti salutano. Se proprio.

I kenioti, come tutti i popoli che vivono la strada, non sono discreti. La strada diventa il libro su cui disegnare con il gesso il gioco della settimana, lanciano un sasso e vedono che casella esce fuori, che cosa possono imparare oggi, che nuove parole ascolteranno, che nuovi costumi tireranno fuori i musungu (ovvero noi poveri bianchi) per poi farli propri. Farli propri alla maniera loro, imitando lo stile italiano e condendolo di un bel fifty cent, tamarro come piace a loro.
Tamarri sono i nomi che danno ai loro tuc tuc, delle simpatiche ape car con cui scorrazzano per le strade. Il mio personale al momento si chiama NEVER WALK ALONE. Come direbbero i latini In nomen omen.


never walk alone



Ho fatto un tragitto di circa quindici minuti. Tutto quello che poteva sballonzolare, ha sballonzolato. Mi sentivo come una patrizia sulla sua lettiga, mentre un mare di occhi labbroni e gambe secche mi seguiva con lo sguardo. E dentro c’era una donna, Una donna, e bianca. Forse bianca prima di donna. In una parola, appunto, una musungu.



Le musungu, ovviamente sono gettonate. Le musungu ti fanno vedere come potrebbe essere la vita di serie A. I vestiti, lo smartphone, gli occhiali da sole specchiati. Ti fanno assaggiare un cucchiaio di panna cotta. Potresti avere tutta quella che vuoi, e forse anche alla menta, se solo fossi nato nel mondo di serie A. Nella parte di mondo che in fondo in fondo è perfetta, diceva una volta J.AX.
Peccato che i kenioti, brutali al telefono, lenti nella vita, discreti quanto una portinaia, non abbiano potuto scegliere più di tanto. Si sono ritrovati di qua dall’Equatore, in un Paese che ha una natura rigogliosa, e che offre loro tutto e tanto. Si sono ritrovati sulla lingua di sabbia dell’atollo di Mayungu, con la bassa marea, hanno fatto le foto, come quelle dei calendario  e preso in mano la stella marina. Ma poi si sono distratti a cucinare il pesce fresco, la marea è salita, e loro sono rimasti sull’atollo, e anche quando la marea saliva saliva, saliva, loro sono rimasti lì, immobili su quel puntino di nulla,  a farsi inghiottire dall’Oceano.


spiaggia di Mayungu

Eccoli i miei nuovi amici kenioti. Lenti, sorridenti, gentili.
Mangiano la polenta col baccalà, si definiscono polentoni. Mangiano la polenta con i fagioli, si definiscono polentoni. Mangiano la polenta con il pollo. Usano ciabatte fatte con rimasuglio di copertone di pneumatico.


Le stelle del loro cielo brillano come diamanti, ma tentano di vendere anche quelle. I capelli delle loro donne sono corti e formano piccoli cornetti di lanugine. Apprezzano i miei capelli, li definiscono una parrucca.
Il loro linguaggio è soffice come un batuffolo di cotone, la gi sa di gelato, e la k cambia suono a seconda del nome in cui la pronunci. Quando sorridono, la lingua sbatte contro i denti. Quando ridono, tirano fuori la lingua come i calciatori. Quando ridono, ridono di gusto, come i bambini. Una risata piena, che fa lo stesso rumore del cocco che cade sul prato.
Possono contare quello che conoscono mettendo un piede davanti all'altro: tanto basta per misurare quel fazzoletto di spiaggia, la terra della capanna in fango, la strada che fanno per prendere il taxi parcheggiato lì fuori e portarci a spasso i turisti.

Eccoli i miei nuovi amici kenioti. Lenti, sorridenti, gentili. Decisamente non monogami. O comunque con un concetto tutto loro. Si sposano fanno figli si separano vanno a convivere si risposano si ri-separano. E molto spesso i figli restano con i padri. E con le nonne.

La famiglia come un bajaji, una moto dall'indefinito numero di posti. Chi arriva, si siede. Chi arriva è il benvenuto. Come il jambo jambo. Come il Kenya. Perchè la famiglia, come il Natale, è dove lo porti.
Auguri. Con tutto il mio corazon. E.

perchè il Natale è dove lo porti







7 commenti:

  1. Grazie Ele!!!! grazie per condividere le tue emozioni e le tue sperienze!!!! si il Natale è dove lo porti!!! Tanti tanti Auguri!!!! baci Paola

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    1. Ciao Paola, grazie, sei il mio primo commento!! un bel regalo di Natale! Ti abbraccio, nella speranza di poter condividere altri viaggi come compagne di stanza!!

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  2. Complimenti per il tuo blog! :-) Ti faccio fare un salto anche nel mio se ti va :-)
    http://lestanzediagata.wordpress.com/

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  3. Grazie Anna, grazie di cuore. In realtà questo blog è nato come una raccolta di email, che mandavo agli amici intasando le loro caselle postali. Forse può sembrare grossolano, imperfetto, ma rispecchia quella che è la mia vita al momento, sempre in movimento.
    Ti abbraccio, e farò senz'altro un'incursione nel tuo regno. Se tu avessi consigli, suggerimenti, spara pure!!
    SIKU KUU NJEMA (BUON NATALE IN SWAHILI)
    Ciao, E.

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  4. Eleeeeeeeeeeee!!!!
    Sei sempre uno spettacolo e il blog fenomenale!
    Buon Natale tesorina...spero rivederti presto...
    ti abbraccio forte

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  5. buon natale elena,salutami tanto l'africa

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  6. Ciao Lorena, karibu!!! Buon Natale a te ed Enrico!
    a presto
    E.

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