domenica 14 febbraio 2016

tell your ma, tell your pa, our love’s going to grow, ooh ah, ooh ah

Un giorno di fine settembre del 2013 Roberta mi disse “non ti dico quello che scriverò di te, perché non sono il tipo. Ma una cosa si, te la voglio dire: sei una persona umana. E credimi, questa è una qualità a cui molto spesso non viene dato il valore che si merita.”
Il valore che si merita, Matera lo sbatterà in faccia al mondo nel 2019, anno in cui sarà insignita del titolo di capitale mondiale della cultura, insieme a Plovdiv.
Fra oggi ed allora, è tutto un prepararsi, per arrivare al traguardo senza fiato corto, pronti a mostrarsi al flash dei fotografi mondiali con la bandiera sulle spalle. Ed in quel momento, mentre godrà del Suo trionfo, la città sa benissimo che verrà reso pubblico anche il Suo passato. Decisamente poco glorioso. Ma sicuramente molto, troppo umano.
Di umanità trasudano i Sassi che ne costituiscono il centro storico, scavati a ridosso della Gravina, la gola che divide in due parti la città. Al centro, lo sperone roccioso della Civita, che separa il Sasso Caveoso (sud), che ingloba case -grotte dall’aspetto piuttosto rudimentale, dal Sasso Barisano (nord- ovest), in cui i fregi e le decorazioni dei Sassi mostrano una maggiore cura per il dettaglio (oggi ospita il nucleo della città ristrutturato, che ospita gli alberghi, e piccole strutture ricettive).
Sasso Caveoso con la Gravina
Matera è una città umana, perché umani sono i suoi Sassi. La città, dal Neolitico in avanti, è cresciuta in dimensione e popolazione, inaccessibile per la sua posizione, e nascosta al mondo intero prima, e senza andare tanto lontano, all’Italia intera. Fino al Dopoguerra. Quando i ministri che della Basilicata erano figli, riportano a Palmiro Togliatti ed Alcide De Gasperi che “nel Sud Italia c’è una città in cui la gente vive nei Sassi”. I due non se lo fanno ripetere due volte, e Carlo Levi con il suo “Cristo si è fermato ad Eboli” certo non aiuta. Dopo aver visto con i loro occhi tutta quella umanità sommersa, la popolazione viene prelevata in massa e spedita nei vicini paesi satelliti e quartieri residenziali costruiti apposta per accogliere tutta quella gente, che certo non hanno tutta quella umanità, ma la dignità di usare una vasca da bagno, quello sì.
I Sassi vengono abbandonati e tornano ad essere dimenticati, non perché di loro non si conosca l’esistenza, ma perché del loro marchio di “vergogna d’Italia” ci si vuole scordare. Siamo a metà degli anni ’50.
Lasciati all’incuria del tempo, e testimoni di un passato scomodo, vivono l’inizio del loro personale Rinascimento negli anni ’80, quando le loro origini vengono riabilitate, fino a diventare nel 1993 “Patrimonio dell’Unesco”, e conoscere la ribalta mediatica nel 2002 con Mel Gibson. Tanto per continuare il filone storico- religioso, è in arrivo anche un maestoso Ben – Hur (fonti locali dicono che per girare una sequenza di dieci secondi, la scena sia stata ripetuta un numero considerevole di volte).
Fra allora ed oggi, Matera capisce. Capisce di essere troppo intelligente per tirarsela.
Capisce di essere troppo vera per essere altezzosa.
Capisce che può regalare a tutti  un privilegio, di quelli con la P maiuscola: una passeggiata fra i Sassi, infilati nella Storia, con il cielo sopra la testa.
Matera con il cielo sopra la testa

domenica 23 agosto 2015

la protezione zero / spalmata sopra il cuore



Un paio di settimane fa, mi sono guardata “Cleopatra”, il film datato 1963 con Liz Taylor nei panni della regina egiziana, e Richard Burton in quelli del condottiero Marco Antonio.

locandina del film "Cleopatra"


L’Egitto diventa la destinazione ultima di Pompeo, che cerca aiuto nel Faraone Tolomeo XIII dopo la sconfitta nella battaglia di Farsalo. Il Romano fa male i suoi conti, la sua testa diventa un regalo (non gradito) per Giulio Cesare, che si reca nel Paese nordafricano per cercare di recuperare prestigio e soprattutto raccolto e rapporti commerciali. Il regno si trova ahimè alla merce di due sovrani imparentati fra di loro, capricciosi e molto, troppo giovani:il già citato Tolomeo, e la sorella di lui, la regina Cleopatra. 


Giulio Cesare si guarda intorno, brucia la flotta egiziana e la biblioteca di Alessandria, suscita le ire della regina, la seduce, detronizza il fratello, e la cinge della corona dell’Alto e del Basso Egitto. La regina Cleopatra diventa la sovrana dell’Egitto, Granaio dell’Impero Romano. Il resto, lo conoscete.


Ma si sa, i Romani, si stancano in fretta. Delle donne, degli schiavi, del cibo. Esauriti i primi due, ed alla ricerca di nuovi terreni per mantenere la Roma già Padrona e ladrona allora, anziché dirigersi verso un nuovo continente, per loro è più facile darsi un'occhiata intorno, verso il Mediterraneo, quel Mare Nostrum, da cui partì la loro grandezza.
 
Scovarono allora una piccola isola, di circa 80 km quadrati malcontati, con una vegetazione tipicamente mediterranea, un mare cristallino, meno appariscente delle isole vicine, più grandi e perciò meno adatte ai loro scopi. Un lembo di terra estremamente fertile, grazie all'acqua proveniente da falde acquifere ormai prosciugate da tempo, facilmente controllabile e ricca di frumentum, di cui divenne granaio e deposito, e da cui l’isola prese il nome con cui è conosciuta ancora oggi: Formentera.

posizione geografica
 
Tutti conoscono Formentera. Non perché ci siano stati, ma perché tutti ne hanno sentito parlare, almeno una volta. E’ la meta di vacanze di personaggi famosi. E’ la meta ideale per scorrazzare in scooter. E’ la meta di hippies nostalgici. Nuoti nelle sue acque, e ritrovi i Caraibi nel Mediterraneo, senza fare troppe miglia aeree, e senza problemi di lingua. Se ti siedi in un bar, la prima domanda che ti viene fatta è “Italiano!?”. 

Tutti i posti sono stati scoperti. Tutti gli angoli, esplorati. L’isola è tutta lì. Non si nasconde, è sincera.
 
Non troveremo un Buddha sotto il mare, non troveremo l’Arca di Noè sotto la sabbia. Quello che non c’è, non lo possiamo inventare. Ma è proprio quello, il bello.


Il bello di aver mantenuto un po’ della sua poca appariscenza. Tutto c’è, basta saperlo trovare.
 
La strada che dal centro porta verso Cap de Barbaria, nell’estremo sud- ovest dell’Isola, è un lungo pseudo-rettilineo, delimitato da mura basse e fieni cotti al sole, che porta ad un luogo isolato ed impervio da cui usavano avvicinarsi le imbarcazioni dei Pirati. Il faro, alto 18 metri, domina la veduta a strapiombo sul mare. 

Cap de Barbaria


Per la strada è difficile trovare qualcuno, specialmente se la si percorre nel tardo pomeriggio. La maggior parte della gente si attarda al mare, e chi non cede alla tentazione e strappa qualche minuto all’abbronzatura, riesce a ritagliarsi un pezzetto di solitudine, respirando la sensazione di essere un puntino su quella cartina che tieni spiegazzata nel sellino dello scooter. 

Faro di Cap de Barbaria


Dall’altra parte dell’isola, il piccolissimo villaggio di pescatori di San’t Agusti, il cui nome lo si deve alla presenza di un antico monastero, di cui oggi non vi è più traccia. Unico porto mercantile dell’Isola, in cui si vedono le imbarcazioni tirate in secca, che si prestano a fotografie dal sapore retrò, circondate da promontori rocciosi, il mare turchese, poco trambusto perché il chiosco è uno solo, i granelli di sabbia tanti, molti finiti fra le dita dei piedi, altrettanti sulla schiena mista alla crema solare, alcuni, speriamo pochi, sul tappo della bottiglietta d’acqua che mi sono portata dietro, e che ormai è calda.

barche in secca, Es Calo



Una volta, a fine vacanza, si compravano le cartoline, minuti eterni indecisi a scegliere quelle che ci rappresentassero, istantanee color seppia o dai toni brillanti. Ma chissà perché, sembrava che quella perfetta non ci fosse mai, quella che rappresentasse lo spirito dei nostri giorni che speravamo indimenticabili. Quante ne abbiamo comprate…una, dieci, cento. Quella più bella, distorcendo quello che scriveva Hikmet, è quella che non abbiamo comprato, perché nascosta nello scaffale dietro, caduta mentre rovistavamo, soffiataci sotto il naso dal cliente in fila alla cassa davanti a noi. 


Come dicevo, tutto c’è, basta saperlo trovare. E soprattutto, vedere.